Quando Bergamo era crocevia di commerci tra Svizzera e Venezia

Rapporti fin dal '500: funzionari orobici registravano i prodotti in transito Patrizi bergamaschi diplomatici della Serenissima per alleanze e soldati

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20/01/2007
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2004
Il ritratto di Moroni del «Cavaliere in rosa» G. Gerolamo Grumelli, patrizio bergamasco diplomatico della Serenissima
La casa cantoniera della strada Priula al Passo San Marco; i ponti di Sedrina e il ritratto del colonnello grigionese Ercole Salis

Risale a due secoli fa l'origine della comunità evangelica bergamasca, costituita dagli «Svizzeri di Bergamo» come li ha definiti e raccontati recentemente Silvio Honegger, ma fu effettivamente il punto d'arrivo di una lunga tradizione di rapporti, accertati almeno dal tardo '500, quando Bergamo era terra di confine, con Milano spagnola a Sud e Ovest e con la Valtellina suddita delle Tre Leghe Grigie a Nord. Da lì passavano artisti e militari, esuli religiosi e spie politiche, ma anzitutto merci e trafficanti, che troviamo registrati nei documenti del Comune di Bergamo. Barili di lumache e di boghe salate, formaggi e mascherpe, dalla Valtellina destinati ai negozi di Bergamo o più in là fino a Venezia, ma anche teli, velami, bombaci e panni e quant'altro di tessile veniva dal Nord, dalla Germania, dalla Fiandra, da Lilla, e scalate le Alpi passava per Chiavenna, nodo di traffici tale da esser chiamato Pündtner London, ovvero la Londra dei Grigioni: erano traffici quotidiani che dai 2000 metri dei passi alpini scendevano al lago di Como, pagavano dazio al Ducato di Milano e sbarcavano a Brivio o a Vercurago.
Nell'ultimo scorcio del '500 era prassi normale per i funzionari bergamaschi registrare le merci con i nomi, familiari, dei mercanti: Alborghetti e Moroni di città, Calegari di Borgo San Leonardo, Marini di Albino, Ginammi di Alzano, Spampatti di Gandino...; ma, con loro, altri nomi, come Papa, Bebia, Orelli, Pestalozza, lombardi, ma cittadini di Zurigo, e nomi strani, stranieri, semplificati come «Michele Tedesco» o risolti come «Onsalvo» e «Sineberger» da chi sentiva pronunciare Holzhalb e Schneeberger; e ancora trascrizioni incerte e poco probabili come «Gauger, Gasviler, Geoberger...». Se non tutti, la maggior parte dei loro traffici riguardava la seta: greggia in uscita, lavorata in entrata. Si racconta che proprio allora questi furono i primi svizzeri a «scoprire» Bergamo: alcuni di quei lombardi erano ticinesi che, perseguitati come protestanti, avevano trasferito la propria impresa a Zurigo; gli altri, quelli con quei nomi tedeschi, li avevano seguiti, con successo crescente.
Protestanti liberi di trafficare a cavallo delle Alpi? Un pericolo noto da tempo, da quando nelle balle di mercanzia si erano trovati libri di fede luterana; e si rischiavano contatti eterodossi alla Fiera d'Agosto, tanto che il vescovo Milani impose ai canonici di non frequentarla per le loro spese e curati ed osti delle alte Valli ebbero ordine di sorvegliare chi veniva dal Nord. E dall'altro versante delle Alpi non venivano solo «condotte di Suizari», termine generico per indicare i soldati mercenari che si erano fatti valere, e temere, nelle guerre di primo '500; rispetto ai meno temibili mercanti, i nostri funzionari dovevano registrare la cittadinanza, per sapere se i luoghi di partenza delle merci erano coperti da «privilegi» daziari, patti di commercio, e sarebbe stato difficile distinguere, in base alla provenienza cantonale, i cattolici dai protestanti e i luterani dai calvinisti e dagli zuingliani; dalle Tre Leghe, a maggior ragione, poiché una era a maggioranza cattolica, le altre due protestanti, e la Valtellina era suddita di tutt'e tre.
D'altronde in fatto di religione Venezia era tollerante: venissero pure dai Grigioni fino a Rialto quei poveri lavoratori, scaletéri o luganeghéri (produttori di biscotti e salsicce); se erano protestanti, bastava che non dessero scandalo bestemmiando, predicando o mangiando carne il venerdì; meglio ancora se, per garantire i propri diritti, si iscrivevano alla Nazione tedesca accreditata in laguna. A maggior ragione gradiva i ricchi ed attivi mercanti, grigionesi o svizzeri che fossero.
Ma vennero tempi più duri, quando la politica internazionale spinse la Serenissima a cercare la strada del Nord, per rifornirsi di soldati dalla Lorena o dalla Svizzera e tagliare la strada della Valtellina agli avversari spagnoli ed austriaci. Urgeva un patto con le Leghe Grigie, che dominavano quei passi, e una base avanzata: la nuova fortezza di Bergamo. Così ai traffici mercantili si intrecciarono quelli politici, prima con accordi di confine sui banditi, poi con scambi di beni essenziali come sale e grani, infine con condotte di soldati e diritti di passo pagati fior di zecchini. Venezia non aveva ancora rapporti diplomatici con le Leghe, ed anzi se ne fidava poco, perciò affidò sondaggi segreti a influenti patrizi orobici, G. Gerolamo Grumelli, Alessandro Agliardi, Gerolamo Ficieni. Il primo, giurista esperto di questioni di confine milanese, collaboratore di Carlo Borromeo, veniva a fagiolo specie perché sua sorella Claudia, invaghita di un colonnello grigionese, Rudolf von Salis, lo aveva sposato, sebbene protestante, e lo aveva seguito, nelle idee e nelle vicende politiche; in più il Grumelli ebbe l'aiuto di un suo genero, un Vertemati Franchi patrizio valtellinese, stavolta cattolico. L'Agliardi, autorevole nel fiorente borgo di San Leonardo, poteva avvalersi dell'aiuto di un suo parente, il valtellinese Orazio Piatti. Il Ficieni figura nelle cronache grigionesi come «mercante», ma il livello internazionale delle sue trattative dovrebbe qualificarlo piuttosto come politico. Le differenze religiose non ostavano, anche se l'Inquisizione impose ai Grumelli di cacciare Ercole Salis, padre di Rodolfo in visita a Bergamo ed intento a pericolosi traffici; pare invece che lo zurigano Leonhard Holzhalb abbia potuto abitare e lavorare qui da noi, ospite proprio di Alessandro Agliardi e che abbia avuto profittevoli contatti con l'emissario veneziano G. Battista Padavin. Se i contatti politici – e religiosi – più elevati si dovevano svolgere in luoghi appartati ed adeguati, come l'Abbazia di Pontida, era invece in Fiera, passeggiando tra le baracche, che si trafficava di merci e politica, e fu un imprenditore a dare un contributo decisivo: un G. Giacomo Maffeis, proprietario di una fucina in quel di Zogno, vantava di aver contribuito a tracciare la strada Priula nel 1593, con cui Zogno sarebbe diventato una nuova Chiavenna, magari poi da collegare con canali all'Adige, fino a Venezia; di sua testa poi aveva concordato di fornire ai Grigioni una partita di palle di cannone; ci voleva solo un cenno d'assenso dei Rettori veneti. Così un mercante d'armi spianò la strada – per modo di dire, visto che la Priula saliva a 2000 metri – e una ragion militare dieci anni dopo fece concludere i patti tra Venezia e i Grigioni. La strada Priula non ebbe molta fortuna, non tanto per difficoltà oggettive, geografiche: le erte strade alpine, come quelle svizzere, funzionavano comunque, malgrado i pendii e la neve, e poi non fu la religione, ma la politica, la Spagna, ad intralciare i rapporti tra Venezia e le Leghe ed a far scoppiare il «sacro macello di Valtellina», propaggine della Guerra dei Trent'anni. E se la ragion di stato fece decadere, per molti anni, i traffici della via Priula, non così la ragion della seta, con cui gli Zurigani continuarono ed accrebbero i proficui traffici tra Bergamo e il Nord.

Autore: 

Pier Maria Soglian

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