Arte campanaria storia da tutelare Bergamo in campo

Il presidente della Federazione provinciale Luca Fiocchi: «Uno dei tesori più importanti d’Italia, con un alto numero di concerti presenti sui campanili»

Pubblicato da: 

|

Data pubblicazione: 

31/08/2016
|

Letture: 

1811
Quirino Picinali con le «campanine» nella foto scattata nel 1932 a Gandino da Paul Scheuermeier
Festa dopo il restauro a Grumo (S. Giovanni Bianco)
Il castello campanario con parti in legno a Lenna

Novant’anni fa lo studioso svizzero Paul Scheuermeier percorse le vallate alpine per raccogliere informazioni sui termini dialettali più arcaici e sugli oggetti cui essi facevano riferimento.
Lavorava con Karl Jaberg e Jakob Jud alla redazione dell’ «Atlante Linguistico ed Etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale». Fra le testimonianze raccolte c’è quella del 1932 a Gandino, dove Scheuermeier incontrò come «informatore» (così lo definiva) Quirino Picinali, che gli mostrò le «campanine», il vibrafono utile ai campanari per esercitarsi. Lo studioso svizzero immortalò così la chiave pedagogica di un’arte semplice e radicata, contribuendo a «fermare sulla carta» e salvare una cultura che dal 2015 fa parte ufficialmente dell’Inventario del patrimonio immateriale delle Alpi della Regione Lombardia, pubblicato online grazie all’Archivio di Etnografia e Storia Sociale.
È un nuovo presidio di salvaguardia, dopo che a partire dal 2000 è nata la Federazione Campanari Bergamaschi (www.campanaribergamaschi. net), mentre la Curia diocesana nel 2001 ha creato una Commissione tecnica per tutelare i concerti soggetti a restauro e automazione, promuovendo la reinstallazione di corde e tastiere ove già elettrificati. «Bergamo – conferma Luca Fiocchi, presidente della Federazione Campanari Bergamaschi – annovera uno dei tesori più importanti d’Italia, con un elevato numero di concerti presenti sui campanili ed una tradizione (spesso orale), che già nel ‘700 utilizzava la campana come strumento musicale, per l’influsso di correnti mercantili e culturali provenienti da Francia, Belgio e Olanda, dove si sviluppò già nel ‘500 la tradizione del suono a carillon». «La particolarità del suono campanario – aggiunge Fiocchi – sta nel fatto di essere di natura pubblica, una responsabilità nei confronti della comunità che ascolta. Abbiamo creato scuole per il suono a corda e per quello a tastiera. Il primo si articola fra suono a dondolo (richiamo alle funzioni), a bicchiere (campane bloccate in verticale) oppure “a concerto”, quando interagiscono più campanari insieme. Il suono a tastiera (detto d’allegrezza) prevede invece la percussione di una serie di palette disposte come i tasti del pianoforte ».

Le campanine
Un’arte tramandata grazie alle campanine (quelle fotografate da Scheuermeier), vibrafoni popolari fatti di piastre e lastre in vetro, metallo e ottone, o ancora tubi metallici costruiti in scala diatonica. Il Quirino Picinali che accolse lo Svizzero a Gandino fu in questo un virtuoso, tanto da essere annoverato fra i pionieri della «Pastorèla». È la formazione che nelle notti di Natale gandinesi ripete, fra le vie del paese, la nenia composta da Andrea De Giorgi, uno che suonava il pianoforte a quattro mani con l’amico Giuseppe Verdi. «In Bergamasca – spiega Fiocchi – il repertorio è di carattere squisitamente popolare, con brani ballabili come monferrine e scòtish, cui si aggiunsero, nel XIX secolo, i grandi balli di coppia di origine boema, polacca e austriaca quali polca, mazurca, valzer e, più tardi, foxtrot. Al repertorio si sommò quello delle marce, su influsso delle bande civiche in cui suonavano molti campanari. La percentuale di nuove composizioni resta piuttosto bassa proprio per il desiderio di esplorare ciò che è ancora da riscoprire».

Apertura culturale
Nell’accezione comune il «campanile» è sinonimo di chiusura e localismo, ma le campane, al contrario esprimono apertura culturale. Gandino, per esempio, possedeva dieci campane in Si grave già nel 1788. Nell’Ottocento e nel primo Novecento le parrocchie gareggiarono per commissionare i concerti più grandi. Purtroppo nell’aprile 1942 arrivò il decreto fascista di requisizione, per convertire il bronzo in armi. Negli anni ’50 e ’60 molti concerti furono integrati con nuove campane, ma fra il 1970 e il 2000 il suono manuale andò in crisi. «Mancava – spiega Fiocchi – il ricambio generazionale fra i suonatori, pesava l’automazione dei concerti con l’eliminazione sistematica dei sistemi manuali e la si era perso il ruolo sociale della campana. Il riconoscimento ufficiale di tutta questa cultura immateriale è un passo decisivo per salvaguardare e promuovere la tradizione. Per i giovani abbiamo creato corsi che si tengono sui campanili in occasione delle feste patronali oppure sulle campanine». Di generazione in generazione il suono delle campane non conosce confini.

Autore: 

Giambattista Gherardi

Autore: 

webmaster
|