È morto il vescovo Angelo Gelmi pioniere della missione in Bolivia

Cresciuto con don Bepo al Patronato, partì per il Sudamerica due anni dopo l’ordinazione
Dalla Ciudad del Nino a La Paz ai campesinos della cordigliera andina: addio al prete che parlava la lingua dei poveri

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18/06/2016
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Monsignor Angelo Gelmi con un gruppo di bambini boliviani a Cochabamba
l vescovo in una foto recente con i giovani della diocesi boliviana

La cordigliera del Tunari, l’altipiano a quattromila metri di altezza, era la sua casa. I campesinos dell’altipiano del dipartimento di Cochabamba erano la sua gente. Il quechua, il loro idioma, era diventato anche la sua lingua. Le comunità di allevatori di lama e di alpaca e coltivatori di patate sono state per una vita intera la sua parrocchia.
Si è spento ieri nella casa di riposo Casa Maria Consolatrice della Pia Fondazione Piccinelli di Scanzorosciate monsignor Angelo Gelmi vescovo ausiliare emerito di Cochabamba, uno dei pionieri della missione diocesana in Bolivia.

Aveva 78 anni e da tre anni era rientrato in Italia per curarsi, ma la sua vita, dalle origini in Val Seriana, a Gandino, è stata tutta spesa nel Paese sudamericano. Sacerdote della diocesi di Bergamo appartenente al Patronato San Vincenzo, si può considerare un «figlio spirituale » di don Bepo Vavassori, fondatore del Patronato. A 11 anni, orfano di padre e con la mamma ammalata, era stato accolto nella Casa dell’orfano a Ponte Selva con il fratello Luigi mentre le due sorelle, Maria e Graziella, trovarono una casa dalle Orsoline a Gandino. Angelo entrò al Patronato il 5 dicembre del 1949 dove proseguì gli studi dalle scuole elementari fino all’apprendistato in falegnameria.
Capace nel suo mestiere sentì però forte la vocazione sacerdotale e frequentò il Seminario di Bergamo fino all’ordinazione il 28 giugno 1968 insieme a don Giuseppe Bracchi, sacerdote che poi sarebbe diventato uno dei superiori generali del Patronato. Da lì a due anni la partenza per la Bolivia, destinazione La Paz, la capitale. Fu di fatto il quarto sacerdote, dopo monsignor Berto Nicoli, padre Antonio Berta e padre Josè Ferrari, a partire per la missione diocesana: a La Paz andava proprio ad affiancare padre Berta nella Ciudad del Nino, la casa di accoglienza degli orfani aperta dal Patronato in Bolivia. Mentre padre Berta si spostava a Cochabamba per aprire anche in quella città una Ciudad del Nino, don Angelo Gelmi viveva gli anni difficili della dittatura nel Paese sudamericano nella capitale. Nel 1975 don Angelo chiede di essere trasferito a Sacaba, con don Berto Nicoli, una cittadina di 30 mila abitanti vicino Cochabamba e qui inizia la sua missione sull’altipiano.
Una ventina le comunità sulla cordigliera del Tunari fatte di agricoltori e di allevatori di capre e di lama. Una vita aspra, dura, in piccole comunità fatte di poche famiglie, spesso di persone analfabete, che parlavano la lingua quechua, uno degli idiomi nativi dei boliviani insieme all’aymara. Il mal di Chagas, le zecche, o il morbillo falcidiavano la gente isolata sulle alture, lontana da qualsiasi postazione medica. Per i bimbi l’unica formazione possibile, unita al lavoro nei campi fin da piccoli, era nelle scuole pluriclasse, raggiungibili dopo chilometri di cammino.

Un mondo per certi versi arcaico, immerso in un paesaggio da sogno, tra le Ande boliviane, un cielo azzurro, e distese di saliscendi da percorrere a piedi. Don Angelo però lì, in quelle che a pieno titolo si possono definire le periferie del mondo di cui oggi parla Papa Francesco, mise radici e il cuore, la sua missione sacerdotale. Da quella gente non si staccò più e la conquistò con la sua mitezza d’animo, la sua semplicità, la capacità di accompagnarli accettando a volte anche la durezza di quella povertà materiale e umana. Lo aiutò anche la sua dote di grande scalatore: fu lui che recuperò la salma dell’alpinista Nembrini precipitato sull’Illimani anni orsono.
Tapacarì, Pongo Capinota, Chalviri, sono solo alcune delle comunità in cui visse don Angelo: anche quando il 4 aprile 1985 fu eletto vescovo ausiliare di Cochabamba e ordinato il successivo 29 giugno, non lasciò mai l’altipiano. A Tapacarì fece costruire un collegio per far studiare i ragazzi che vivevano sulla Cordillera. Intensa fu la sua attività pastorale: per rendere più semplice la catechesi e formare gli operatori tradusse personalmente un centinaio di articoli dall’italiano allo spagnolo.
Solo l’avanzare degli anni e della malattia hanno allontanato monsignor Gelmi dalla Bolivia: poco prima di raggiungere i 75 anni di età si ritirò in Italia per curarsi. Riuscì però a celebrare il 50° della missione boliviana con il vescovo Francesco Beschi, quella missione che a pieno titolo ha contribuito a far nascere e crescere negli anni.

Autore: 

Elena Catalfamo

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